lunedì 10 ottobre 2011
























Da quando ti ho perso sento una mancanza fisica, un senso di vuoto, un senso di impotenza.
Guardando indietro vedo la strada percorsa, poi il crocevia, il tuo sentiero diventa diverso dal mio, e vedo in lontananza la spensieratezza, le cadute, le cicatrici, tutte le cose lasciate lì per sempre, intrappolate e incompiute, baci non nati, abbracci non dati, parole non dette.
In quella strada il tempo si è fermato.
In un lungo momento che nessuno potrà mai cancellare.
Ciò che ero a 20 anni , lo sarò per sempre, ma solo lì , su quella strada.
Esisterà sempre la ragazza la cui misera audacia non l’ha aiutata a vivere davvero, da qualche parte, è rimasta nel corpo che la ospitava.
In quei giorni, in quegli anni, ho vissuto con te, ti ho guardato negli occhi, ti ho respirato, e sbiadita mi rivedo  in un tempo ormai immobile, che non rivivrò mai più.......
un tempo lontano fatto di numeri 1986-1987-1988-1989..........
Guardare indietro fa male perché, nascosto,
dietro ad una curva c’è un dolore che torna ogni volta,
ci sono un ragazzo e una ragazza che non incontreremo mai più
e cristallizzato in quel tempo c’è il filo che ancora ci lega.

mercoledì 9 febbraio 2011

EBBENE SI,..HO ODIATO DAISY.


Un uomo solo, guarda “i granelli delle stelle” nella notte estiva e contempla la luce verde al di là della baia.
Un uomo e il suo sogno, infinita nostalgia di un passato e della bellezza posseduta un giorno, cinque anni prima. Si può ripetere il passato? “Certo che si può” è la risposta di Gatsby, che per questo sogno non vive il presente.
Nella New York ruggente degli anni Venti l’affascinante Gatsby offre feste sontuose nella sua villa di Long Island.
Non tutti sono invitati, alcuni si fanno presentare da qualcuno che conosce Gatsby e si comportano come a un parco dei divertimenti senza neppure preoccuparsi di conoscere personalmente il padrone di casa.
Di lui e dell’origine del suo denaro non si conosce molto e si chiacchiera parecchio, è misterioso e romantico,partecipa poco ai suoi stessi ricevimenti dal lusso esagerato.
Mille solitudini s’incontrano e non comunicano .
È l’alta società frivola e ricca che Fitzgerald descrive con sguardo a volte critico, ne apprezza il lusso, l’eleganza, il benessere,ne disapprova il cinismo e l’egoismo, ma il suo Gatsby è un personaggio superiore, è l’uomo che antepone a tutto il sogno puro e incontaminato vissuto nella sua giovinezza.
Gatsby ha un sorriso che conquista.
“Era uno di quei sorrisi rari, dotati di un eterno incoraggiamento, che si incontrano quattro o cinque volte nella vita. Affrontava – o pareva affrontare – l’intero eterno mondo per un attimo, e poi si concentrava sulla persona a cui era rivolto con un pregiudizio irresistibile a suo favore.”
La sera Gatsby volge il suo sguardo alla luce verde del molo al di là della baia, dove vive Daisy.

È a lei che tende le braccia, tremando nella notte, è per poter contemplare l’infinito sogno della sua bellezza che ha costruito lì la sua casa.
Suo desiderio riconquistarla, farla sua per sempre: nella memoria Daisy è rimasta intatta, è un sogno inattaccabile e incorruttibile, più forte e più bello della stessa realtà.
“Non c’è fuoco o gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore”. Egli vuole far rivivere l'amore fiorito prima della guerra tra lui e Daisy, la stessa Daisy che lo rifiutò alcuni anni prima perchè era povero e senza prospettive. Lei ha sposato Tom, un giovane rampollo di una delle grandi famiglie americane, ricchissimo quanto arrogante che la tradisce impunemente, ma le ha garantito quel tenore di vita dispendioso che Gatsby non era in grado di offrirle all’epoca del loro amore.

Gatsby sarà emozionatissimo, addirittura imbarazzato, quando rivedrà Daisy per la prima volta dopo tanto tempo, lei è il suo sogno e non vede al di là di questo, non percepisce la superficialità, il cinismo, l'incoscienza, tipici dei personaggi femminili di Fitzgerald, capaci di far innamorare e contemporaneamente di demolire un uomo. “Erano gente sbadata, Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro sbadataggine”.La voce di Daisy lo avvolge come un canto immortale, in un giorno lontano l’uomo si era per sempre incatenato a quella bellezza. Impossibile adesso, staccarsi da quell’ideale, accettare la morte del sogno. Purtroppo il protagonista morirà senza ottenere la donna che ama da sempre, ma la tragedia, prima di compiersi , è già tutta raccontata nella mancata corrispondenza della realtà con il sogno.
I due mondi distanti, separati dal mare, non troveranno mai un vero punto di incontro, ma la forza di questa storia d’amore è nella speranza, nell’aver creduto al sogno al di là di ogni ipocrisia e nell’averlo alimentato fino all’estremo, anche dopo averlo visto allontanarsi e dissolversi. Ecco perché Gatsby rimarrà un personaggio memorabile.
Gatsby non vive il presente, spera nel futuro, ma il suo sguardo fisso è al passato, al ricordo che custodisce inossidabile, quale perno della sua stessa esistenza.
“Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”.
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IL GRANDE GATSBY
Francis Scott Key Fitzgerald [1896 – 1940]
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martedì 8 febbraio 2011

La mia soffitta


In una tiepida mattina di primavera ti svegli e decidi che è la giornata adatta per revisionare e svuotare la soffitta, lavoro che stai rimandando da troppo tempo.
L’inverno è alle spalle e non hai più l’alibi del freddo che in soffitta intirizzisce le mani.
Ecco la soffitta è questo… un posto freddo e buio all’ultimo piano della casa, un luogo appartato adatto per scaricare oggetti non usati più nella quotidianità ma dei qual non ci vogliamo sbarazzare, la stanza dove rifugiarsi per respirare e staccare la spina, cara anche al grande Dostoevksij che scriveva: "Svolgevo il mio dovere in modo esemplare, ma, appena terminato, correvo nella mia soffitta, indossavo la mia vestaglia, e aprivo i miei autori preferiti, ...”E’ il posto dove si ritorna bambini, ricordando i fantasmi dell’infanzia quando la mamma ci chiedeva di andare a prendere qualcosa e bisognava andarci magari con la candela.
Apri la porta, ti guardi intorno, giri fra gli scatoloni, soffi via la polvere e li apri.


Per tanti anni la soffitta, come la nostra mente, ha trattenuto e conservato valige, scatoloni, cassetti pieni di oggetti, vestiti, vecchie riviste e fumetti, quaderni e libri scolastici sgualciti e ingialliti,
le vecchie pagelle,le foto di papà militare,gli album di figurine Panini dei calciatori, cianfrusaglie ormai date per perse, ricordi dimenticati e irricordabili.
Possedere una soffitta così è come possedere una grande “collezione del passato” intrappolata nelle ragnatele.


Tiri fuori un oggetto caro, una vecchia pallina dell'albero di Natale, e allora ti siedi su quella vecchia poltrona di velluto coperta con un lenzuolo bianco, osservi, ascolti, rimembri.

giovedì 18 novembre 2010



ROSA DI MACCHIA
Rosa di macchia, che dall'irta rama
ridi non vista a quella montanina,
che stornellando passa e che ti chiama
rosa canina;

se sottil mano i fiori tuoi non coglie,
non ti dolere della tua fortuna:
le invidïate rose centofoglie
colgano a una

a una: al freddo sibilar del vento
che l'arse foglie a una a una stacca,
irto il rosaio dondolerà lento
senza una bacca;




ma tu di bacche brillerai nel lutto
del grigio inverno; al rifiorir dell'anno
i fiori nuovi a qualche vizzo frutto
sorrideranno:

e te, col tempo, stupirà cresciuta
quella che all'alba svolta già leggiera
col suo stornello, e risalirà muta,
forse, una sera.

Giovanni Pascoli (Myricae 1891-1911)

venerdì 5 novembre 2010



C’ERA UNA VOLTA IL “LIMITE”
Tanto tempo fa in un paese piccolo, piccolo,
viveva una bambina di nome Olivia.
Era sempre allegra, non molto vivace, ubbidiente e rispettosa, di aspetto sottile, con degli occhi scuri come le olive che raccoglieva suo nonno e la carnagione che le donava un colorito olivastro quasi come una piccola figlia di Toro Seduto. Il sole non era un problema per lei, anzi d’estate tra un po’ di mare e tanta campagna diventava ancora più scura e con le trecce che la mamma si ostinava a farle portare, non di rado raccoglieva consensi e apprezzamenti all’interno della famiglia che era tutto il suo mondo. Quindi soddisfatta del suo aspetto, che a quell’età è fondamentale, e gratificata per il suo impegno serio, cresceva serena e fiduciosa.
Quando il “limitar di gioventù” si apprestava a trasportarla in una nuova fase, Olivia si rese conto che c’erano ,però, intorno a lei momenti tetri, spaventosi, cupi e tenebrosi come la peggiore notte d’inverno. Freddo e gelo nel cuore, iniziò a sperimentare, fino a quando un caldo tepore non veniva a scaldarla e riapparivano i volti soliti, come se nulla fosse accaduto,tornati alla normalià. La frase “dopo la pioggia viene il sereno, brilla nel cielo l’arcobaleno” fu la sua tenera compagna di tanti di quei momenti!!!
Ogni volta che accadeva, a volte spesso,a volte raramente,
meditava e tramava …… : “quando diventerò più grande risolverò tutto, ……
Fu così che imparò a superare un limite sempre più lontano, il bordo del vaso era sempre più alto e la goccia per farlo traboccare non arrivava mai.......
"La prossima volta"....
"Domani"...
Il domani era irraggiungibile e il coraggio mancava.
Passarono gli anni senza che Olivia si accorgesse che il vaso era diventato enorme, alto come una montagna. Sognava la tranquillità perduta, la serenità sarebbe stato ,per lei, il regalo più importante che un principe azurro potesse portarle. Non fu così...questo principe non era proprio azzurro e soprattutto il castello era abitato da dame e cavalieri non proprio gentili e il suo limite ormai non esisteva più, era come la verginità perduta che non può più essere riacquistata, il limite non torna indietro.
"Ma com'è stato possibile? Un'altra al posto tuo sarebbe sbottata da un pezzo! Ma che non lo sai che c'è un limite a tutto?"
Olivia rifletteva:
“la vita è andata così, ognuno ha il suo destino…beh certo qualcosa in più lo meritavo…”
E tirava fuori la grinta, quella di sempre, per riemergere perché nonostante tutto poi diceva a se stessa “mi puoi piegare una volta ma non puoi spezzarmi per sempre!” . Si guardava intorno e vedeva chiaramente il suo valore, era diversa, impossibile per lei uniformarsi, e se sopportare tanto significava cadere in basso allora quello era l’unico modo per farla cadere in basso, non ce n’erano altri, nessuno l’aveva mai vista piangere tranne sua madre, era se stessa e anche se si era persa di vista un paio di volte, poi si era sempre ritrovata ,poteva tranquillamente guardarsi allo specchio e riconosceva la bambina felice e la ragazza gioiosa, incorreggibile e selvaggia.


In fondo non era ancora finita, la vita le doveva ancora qualcosa di buono.

(Papà non è colpa tua,ti voglio bene,non sono una martire,sono una con il "limite alto".)

giovedì 4 novembre 2010




ECCO IL TITOLO DEL MIO BLOG : “ON THE ROAD”
(STORIA DI ME CHE VOLEVO ESSERE BEAT)

C’è stato un tempo in cui fantasticavo con i poeti della “Beat Generation” , era difficile reperire il materiale, non c’erano computer né Internet, non esisteva un grande “archivio” a portata di tutti, potevo solo leggere. Mi sentivo diversa, alternativa, outsider,anticonformista, mi piaceva la parola "libertà",odiavo la parola "compromesso" perché credevo che solo con una testa che funziona autonomamente si può davvero essere liberi.
C'è stato un tempo in cui mi sono impantanata, statica, ferma, mi guardavo intorno e il mondo intorno a me girava in modo del tutto differente dal mondo nel mio cervello,essere diversa non mi aveva portato avanti ma piuttosto mi stava rallentando. Perchè ?



Adesso, dopo anni di esperienze "normali" le risposte a quel "PERCHE'?" sono più chiare, quasi più accettabili.
L'amore e i sentimenti più saldi della nostra vita si pagano, e la moneta è sempre un dolce compromesso.E' dolce perchè non è una sconfitta, perchè ti avvolge, ti riscalda.
La novità è che adesso vivo in "quel" mondo, quello fuori....
ci ho portato me stessa, quella del pantano e tutto quello che di buono il mio cervello ha partorito.



Cercando di amare tutto nella vita. E' questo essere beat. Se c'è una qualità che ho visto chiaramente in questa generazione, è lo spirito di non-interferenza con la vita degli altri. Ho fatto un sogno in cui non volevo che il leone mangiasse l'agnello e il leone mi saltava addosso e mi leccava la faccia come un cucciolone e poi prendevo in braccio l'agnello e lui mi bacaiva.
Questo è il sogno della Beat Generation.
Secondo Jack Kerouac

venerdì 29 ottobre 2010


I PRATI DI MISS POTTER
Helen Beatrix Potter nasce a Londra nel quartiere di South Kensington, il 28 luglio 1866 da una famiglia molto ricca. Trascorre la sua infanzia accudita ed educata dalle governanti e quando il fratello Bertram viene mandato a scuola, la piccola Beatrix rimane sola, circondata soltanto dai suoi adorati e fantasiosi animali domestici: rane, salamandre, furetti ma i suoi preferiti, però, sono due conigli, Benjamin e Peter che comincia a ritrarre sin da piccola.
D’estate tutta la famiglia Potter si trasferisce nella regione dei Grandi Laghi, già famosa all’epoca come meta estiva, un paesaggio ,fra i più belli d’Europa, dominato da profonde vallate, fiumi, torrenti, cascate e ovviamente laghi: sono circa 15 gli specchi d’acqua che hanno dato il nome a questa regione.





E’ qui che la giovane Potter sviluppa il suo amore incondizionato per la natura.
Nonostante i suoi interessi e le sue ambizioni, i genitori le impediscono di proseguire gli studi e di dedicare tempo ad interessi di stampo intellettuale. Secondo i rigidi precetti vittoriani infatti le donne dovevano occuparsi esclusivamente della casa. Così Beatrix, a partire dai 15 anni comincia a scrivere un diario, ma usando un proprio codice segreto, che verrà decodificato solo 20 anni dopo la sua morte.
Lo zio cerca di inserirla come studentessa presso i Giardini Botanici di Kew, ma la sua richiesta viene respinta perché donna. Inizia però sempre di nascosto, a guadagnarsi la fama di esperta micologa (studioso di funghi). Una raccolta con 270 acquarelli, in cui i funghi vengono disegnati con estrema minuzia, è presente alla Armitt Library di Ambleside. L'Accademia di scienze britannica (Royal Society) rifiuta di pubblicare le sue illustrazioni scientifiche, sempre perché donna.
Decide,quindi, di pubblicare a sue spese "La storia del coniglio Peter" (The Tale of Peter Rabbit), un libro illustrato per ragazzi.


Una delle 250 copie raggiunge la scrivania di Norman Warne, capo della casa editrice Frederick Warne & Co., il quale decide di dare alle stampe il racconto. Dal giugno del 1902 fino alla fine dell'anno il libro vende 28.000 copie. Nel 1903 pubblica un nuovo racconto, "La storia dello scoiattolo Nutkin" (The Tale of Squirrel Nutkin) che ottiene altrettanto successo.






Dai proventi dei suoi libri Beatrix Potter riesce a raggiungere la tanto agognata indipendenza economica, che le occorre per ribellarsi alla rigidità vittoriana della società. Nel 1905 comincia a frequentare il suo editore Norman Warne, ma è costretta a farlo di nascosto per la forte opposizione da parte dei suoi genitori.

Rompe definitivamente con la famiglia ma non riesce a sposare Norman, il quale si ammala di anemia fulminante e muore nel giro di poche settimane.
A 47 anni sposa il procuratore William Heelis, assieme al quale si trasferisce in una grande fattoria a Sawrey, nella regione dei Laghi, circondata da animali: cani, gatti e un porcospino chiamato "Mrs. Tiggy-Winkle".. Dopo la morte dei genitori Beatrix Potter usa la sua parte di eredità per comprare e preservare terreni nella regione e assieme al marito si trasferisce a Castle Cottage, dove morirà il 22 dicembre 1943.