lunedì 31 maggio 2010



I vecchi che si ammirano nell'acqua

Ho udito i vecchi, i vecchissimi, dire:« Tutto muta,
E a uno a uno noi scompariamo,
Avevano mani simili ad artigli, e le ginocchia
Contorte come i pruni antichi
Presso le acque.
Ho udito i vecchi, i vecchissimi, dire:
« Tutto ciò che è bello trascorre via
come le acque ».

William Butler Yeats

Il Passato che Ritorna.


IL PASSATO
di Emily Dickinson

E' una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all'estasi
O alla disperazione.

Se qualcuno l'incontra disarmato,
Presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!








mercoledì 12 maggio 2010

IL RAGAZZO CON IL VENTO NELLE SUOLE



"Voglio essere poeta, e lavoro a rendermi Veggente : lei non ci capirà niente,
e io quasi non saprei spiegarle.
Si tratta di arrivare all'ignoto mediante lo sregolamento di tutti i sensi.
Le sofferenze sono enormi, ma bisogna essere forti, essere nati poeti,
e io mi sono riconosciuto poeta.
Non è affatto colpa mia.
È falso dire: Io penso, si dovrebbe dire: mi si pensa.
Scusi il gioco di parole. IO è un altro"

(Arthur Rimbaud lettera al prof. Georges Izambard, 13 maggio 1871)



Appena quattro anni, dai 16 ai 20, per cambiare per sempre la poesia moderna, breve ed intensa esistenza irrequieta ed errabonda,opere poetiche innovative, sublimi e stravolgenti. Arthur Rimbaud , (1854-1891) poeta francese, un maledetto,un mito, un simbolista decadente, un surrealista, mago, alchimista, cabalista, visionario, avventuriero pervertito. Tante le definizioni date di Rimbaud nel corso degli anni da chi lo ha amato e da chi lo ha odiato. Il tema del vagabondaggio e del viaggio rappresentano la parte più affascinante e sofferta e su tutte le altre il componimento “IL BATTELLO EBBRO” esprime il puro desiderio di partire e di vagare senza meta, verso luoghi privi di forma, mutevoli, senza nome; la lirica termina con l’invocazione al naufragio del battello, che rappresenta il poeta, unico esito possibile di questo errare sfrenato dell’io. Un'ebbrezza che non deriva dall'alcool, ma dall'assoluta libertà e dalla capacità di contemplare con occhi vergini gli spettacoli naturali più incredibili e rari, senza nozione usuale di tempo e di spazio.
Nasce dalla sperimentazione e dall'impossibilità di adattamento e il cammino ha un'unica direzione : l’avventura estrema alla ricerca dell’ignoto.Ma proprio perché estema questa avventura contemporaneamente si pone e rivela la sua auto-distruzione: con assoluta onestà intellettuale il poeta ne dichiara il fallimento e la supera, rovesciando i termini stessi della propria logica. Dapprima è la stanchezza ed il dolore e l'inquietudine ambigua degli uccelli chiassosi ; poi la percezione dell'essersi perduto e addirittura la furibonda autoironia, mentre la corsa diventa sempre più ansiosa ed ossessiva : fino alla dichiarata nostalgia per l'Europa dai vecchi parapetti che riconosce il bisogno di una radice. Lo strazio esplode totale ed aperto, con la gridata speranza « Che la mia ciglia scoppi! Che vada in fondo al mare! ». Ed infine il capovolgimento: con serissima commovente consapevolezza Rimbaud, slegandosi dall'immagine di eroe dell'ignoto e degli oceani, si ritrova bimbo triste accoccolato accanto ad una pozzanghera. Ma questa non è una fine: il bimbo ricerca, affidando però sé stesso all'umiltà di una barchetta fragile farfalla.
Forse il viaggio è da ricominciare ma in modo nuovo e diverso.


Mentre discendevo i Fiumi impassibili,
Non mi sentii più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevano bersagliati
Inchiodandoli nudi ai pali variopinti.
Ero indifferente a tutto l'equipaggio,
Portavo grano fiammingo o cotone inglese.
Quando coi miei bardotti finirono i clamori,
Mi lasciarono libero di discendere i Fiumi.
Nello sciabordio furioso delle maree,
Io l'inverno scorso, più sordo del cervello d'un bambino,
Correvo! E le Penisole andate
Non subirono mai sconquassi più trionfanti.

La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti
Che si dicono eterni avvolgitori di vittime,
Dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari!
Più dolce che per il bimbo la polpa di mele acerbe
L'acqua verde filtrò nel mio scafo d'abete
E dalle macchie di vini azzurri e di vomito
Mi lavò disperdendo l'ancora e il timone.
E da allora mi sono immerso nel Poema del Mare,
Intriso d'astri, e lattescente,
Divorando gli azzurri verdi; dove, relitto pallido
E rapito, un pensoso annegato a volte discende;
Dove, tingendo a un tratto le azzurrità, deliri
E ritmi lenti sotto il giorno rutilante,
Più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
Fermentano gli amari rossori dell'amore!
Conosco cieli che esplodono in lampi, e le trombe
E le risacche e le correnti: conosco la sera,
L'Alba che si esalta come uno stormo di colombe!
E a volte ho visto ciò che l'uomo ha creduto di vedere!
Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori,
Illuminare lunghi coaguli viola,
Simili ad attori di antichissimi drammi,
I flutti che lontano rotolavano in fremiti di persiane!



martedì 11 maggio 2010

I PASCOLI DEL CIELO





"Una lunga valle si stendeva entro un anello di colline che la proteggevano dalla nebbia e dai venti.Disseminata di querce, era coperta di verde pastura e formicolava di cervi. Al cospetto di tanta bellezza il caporale si sentì commosso...

"Madre di Dio!" mormorò. "Questi sono i verdi pascoli del Cielo ai quali il Signore ci conduce!"


John Steinbeck(1902 – 1968) scrittore statunitense.

Fondamentalmente un cantastorie, un profondo e sensibile testimone di una società pionieristica, coraggiosa e sfortunata, un'anima gentile, che racconta ma non giudica. “I pascoli del cielo” è una raccolta di racconti apparsa nel 1932. Storie di fattorie, di bambini, di famiglie che vengono da lontano e si fermano nella valle, nonostante le maledizioni e le sfortune.